Rieccoci. Ed è passato un anno. È assurdo constatare come, ancora una volta, gli anni volino, come il tempo passi velocemente. Mi pare passato un solo istante dal precedente articolo, dall’altro bilancio, dall’altro racconto, da quello che scrivevo solo un anno fa e, adesso, un anno dopo, come ogni anno succede, è cambiato qualcosa, mentre quasi tutto è restato, giustamente, come prima. Perché nessun cambiamento è possibile, se non si ha una base solida da cui partire. E, dopo quello che abbiamo vissuto, dovremmo avere una base diversa, una base un po’ più consapevole di tante cose, più cosciente dei nostri limiti e tuttavia dei nostri meriti, di cosa significa, come nazione, inciampare e ricominciare ad alzarsi. Mma la gente, in conclusione, pare non aver capito proprio niente, imparato proprio niente. Sembra che dietro si porti solo le abitudini e le regole e poco o nulla dello spirito solidale che ci ha animati nei primi mesi di ciò che è stato, che ancora è, ma che, da quest’anno, abbiamo cominciato un po’ a lasciarci alle spalle. Ed è giusto, che diamine. Certo che è giusto lasciarsi tutto alle spalle, provare a ripartire, a andare di nuovo in giro, cominciare a riprogettare il futuro, le uscite, i concerti. E io sono la prima a farlo, sono la prima a essere felice di poter pensare che sono a un passo, che ora pare davvero piccolo, dal momento incredibile in cui tornerò sotto il palco di Ermal. E accidenti se non vedo l’ora! Non vedo l’ora che solo a dirlo mi si riempiono gli occhi di lacrime e mi pare di sognare, di sognare, di avere un po’ più una certezza nella confusione e nell’incertezza che questo momento ci ha appiccicato addosso. Certo, certo che è giusto così, scrollarsi un po’ le spalle, cercare di sollevarsi i pesi dal cuore, che abbiamo avuto, cercare di superare le paure, di tornare alla normalità. Perché, dopo tutto, un po’ di paura ce l’ha lasciata questo periodo ed è assurdo pensare di doversi riabituare alla normalità. È assurdo pensare che ciò che per noi una volta era scontato, ciò che era ovvio, ora abbia una così grande importanza e sia diventato di colpo fondamentale. È giusto lottare per uscire, anche se è molto più semplice stare dentro casa, almeno per me, nell’angolo protetto, ma, se è possibile ricominciare, quest’anno ce lo ha detto, ce lo ha mostrato, ce lo ha fatto vedere: è possibile ricominciare. Senza, però, tuttavia, dimenticare. Non possiamo permetterci di dimenticare ciò che è stato, non possiamo. E non significa limitare la felicità con la tristezza, con l’angoscia, con la paura. Significa ciò che scrivevo più o meno un anno fa, nel pieno dell’emergenza, che, quando sarebbe tornato il sole, che quest’anno abbiamo visto spuntare non solo ogni mattina, ma anche ogni ripartenza, avremmo dovuto ricordare il buio, non per rattristarci, ma solo per dare più valore alla luce. Per ricordare che niente è scontato, che dobbiamo apprezzare ogni cosa, che potrebbe venire a mancare e non potevamo immaginare mai che potesse accadere, e dobbiamo scoprire che, non è ovvio, la felicità è davvero nelle piccole cose, anche nelle cose minuscole, anche nello stare in casa, sì, ma non perché si dovrebbe o è meglio così, ma solo perché è una scelta e la scelta alternativa non ha più nessun ostacolo, nessuna paura e nessuna limitazione. Ci vorrà ancora un po’ di tempo perché uscire o rimanere in casa siano equivalenti nella disposizione del nostro spirito, ma, almeno da quest’anno, le due azioni sono ridiventate un po’ più possibili, anzi, quasi del tutto possibili, almeno per le regole, che hanno cominciato a esserci di meno e stiamo vincendo la battaglia contro il Covid con il vaccino, il solo mezzo efficace in questi casi, ma non è ancora uguale dal punto di vista dello spirito, della disposizione, della coscienza, perché, come dicevo, quest’anno, se ci ha insegnato a ripartire, a ricominciare, a gioire, se ci ha riempito gli occhi di felicità, di vittoria, di orgoglio, di commozione, se ci ha riempito i sogni di nuovi sogni reali, ci ha anche insegnato quanto è bella e difficile la normalità. Quanto è complicato poterci tornare e quanto, da oggi in poi, dovremo ancora riabituarci all’ovvio, allo scontato, che poi ovvio e scontato non è più a ciò che prima non aveva molta importanza, il semplice uscire di casa e incontrare le persone. Sì, stiamo migliorando. La situazione è radicalmente cambiata rispetto a un anno fa. Un anno fa, già. Un anno fa, forse allora non ne ero del tutto consapevole, ma iniziava la seconda ondata. E sarebbe stata molto peggiore della prima, arrivando a numeri, che sono persone, di contagi e di morti per Covid assai preoccupanti. Me li ricordo benissimo, come fosse accaduto ieri, che siamo arrivati a sfiorare i 40.000 contagi in un giorno, numeri spaventosi, e non è vero che i numeri non hanno nessuna importanza. Sono d’accordo, eccome se sono d’accordo, con chi dice che l’informazione non è stata all’altezza della situazione, che i giornali, i telegiornali, figuriamoci poi i Social hanno parlato di quello che è successo con una confusione assurda in un’accozzaglia di notizie pseudoscientifiche, come se tutti quanti, di colpo, fossero diventati esperti virologi o tutti quanti membri del Comitato tecnico-scientifico (CTS), come se tutti potessero esprimere la propria opinione su argomenti di cui non sapevano niente, è vero. Sono d’accordo con chi dice che è stato creato un allarmismo fuori controllo, tuttavia, i numeri c’erano, erano reali, erano persone che soffrivano, persone che morivano, persone che dovevano affrontare questo male che abbiamo imparato a conoscere, nostro malgrado, perché mica ci tenevamo a fare la sua conoscenza. Ma, ora che purtroppo lo conosciamo, ci tocca anche conviverci, ci tocca constatare i danni che ha fatto, e sono stati molti, moltissimi. Perché quei numeri erano vite, vite sconvolte, vite di colpo complicate, a volte vite spezzate. E un anno fa, forse nello scorso articolo non ne avevo ancora la coscienza, ma attraversavamo la seconda ondata e ci sono stati momenti davvero brutti e sconfortanti, talmente tanto che poi ti chiedi come è possibile che la gente sia rimasta sempre la stessa, com’è possibile ora che ci sia tanto odio ancora in giro, tanta cattiveria, quando questo periodo doveva insegnarci qualcosa: non solo le regole, la paura, non solo un nuovo modo di vivere e di concepire le cose, ma un nuovo modo di considerare le persone. Dovevamo essere spiritualmente più vicini, dato che eravamo fisicamente più lontani. Avremo dovuto imparare a essere più solidali. Certo, mica è tanto facile vivere accanto alle persone, che diventano un po’ una minaccia, delle quali hai un po’ paura di avvicinarti troppo, tuttavia, dovevamo provarci. Dovevamo provare a essere più solidali, anche da lontano, dovevamo essere l’Italia che siamo stati nei primi mesi, sì, quella dei canti sui balconi, delle luci sulle finestre, dei tricolori ovunque, dell’inno nazionale dappertutto. Sì, dovevamo essere l’Italia della prima ondata, dovevamo esserlo sempre, non solo in certi momenti di particolare difficoltà o di particolare felicità, ma dovevamo imparare a esserlo ogni giorno e non solo apparentemente a qualche livello, non solo per un giorno, per una settimana, per un mese, ma per sempre. Questo periodo doveva insegnarci a essere persone migliori, una nazione migliore, consapevole dei suoi limiti, d’accordo, ma anche dei suoi pregi, di quanto, accidenti, conta avere un sistema sanitario gratuito e aperto a tutti, e mica l’abbiamo ancora capito quanto siamo fortunati per questo. Ecco, di tutto quello che potevamo capire, questa era la cosa più importante. E la seconda era investire nella ricerca, perché, da queste situazioni, e si è visto, può salvare solo la ricerca scientifica e, nello specifico, la scoperta del vaccino. Perché, ed è bene che lo ricordino tutti, se oggi, qui, la situazione è molto migliore rispetto a un anno fa, è soltanto grazie alla vaccinazione di massa. E questo è un dato di fatto. Possono dire tutto quello che vogliono, io non sono una scienziata, né pretendo di esserlo, ma mi limito a constatare la realtà di questo anno, come sono radicalmente cambiate le cose e che, se io potrò andare ai concerti di Ermal a marzo, se io potrò uscire, se noi potremo fare qualsiasi cosa, sarà solo ed esclusivamente grazie al vaccino. Al vaccino che io, in primis, mi sono fatta. E i mesi che ora sono un po’ già passato, per me, sono stati davvero tante cose, talmente tante cose, che poi ci penso e mica credo possibile che siano avvenute tutte quante in un anno, che siano davvero accadute, così come io le ricordo, in uno spazio che appare tanto piccolo da qui, invece è tanto grande. E così i ricordi si intrecciano, si confondono, si susseguono, forse senz’ordine, ma li tengo tutti qui, nel cuore, ogni istante, ogni momento, ogni attimo, quelli belli, quelli brutti, quelli emozionanti, quelli incredibili, quei secondi eterni per capire di essere davvero, di nuovo, a Roma. Sì, è questa la prima immagine che voglio attribuire a questo bilancio, a questo incredibile bilancio, che ha davvero dell’incredibile, perché ora, da quel primo articolo, sono passati sei anni e sei anni sono tanti, sono una vita, un pezzo di vita, che continua a scorrere, un pezzo di vita che raccoglie le impressioni, le sensazioni, i ricordi, le emozioni. La prima è questa. Sono a Roma, siamo a Roma. È un giorno di novembre, è il 21 novembre 2020, la situazione è quella che è, pessima, me lo ricordo quanto è stata sudata quell’intervista, quanto è stato sudato quel giorno, quanto è stato sudato quel viaggio. E fino all’ultimo, collegato a una realtà che pareva non lasciare molte scelte. E ha rischiato di saltare tutto a pochi giorni dalla sospiratissima intervista, perché chi doveva accompagnare me e mia madre a Roma non poteva lavorare a causa della maledettissima zona arancione. Ma niente è impossibile, quando ci sono di mezzo i sogni. E certe cose, che sembrano impossibili a tutti, che sarebbero impossibili in ogni caso, da tutti i punti di vista, da qualsiasi angolazione le si guardi, diventano di colpo reali e realizzabili solo perché ci credi, solo perché sogni. E perché i sogni non si possono fermare. Non ce l’ha fatta neppure il Covid. Può averci tolto molte cose, precluso tantissime altre, ma i sogni, no. Sui sogni non ha avuto alcun potere, non sui sogni veri, non sui sogni in cui abbiamo creduto, in cui ho creduto , non sul mio sogno che ha reso il 2020 un anno bello, che ha dato senso a un anno che sembrava non avere senso. E così, dopo che è stata una luce che ha dato senso a un altro anno con poco senso, stavolta dal punto di vista personale, come il 2017, in cui è nato, e dopo avermi tenuto occupata e dato una mano nel momento difficile dell’anno scorso, il mio libro, “L’ultimo dono prima di morire”, mi ha regalato di nuovo qualcosa, qualcosa di bellissimo, di imprevisto, di incredibile, che sarebbe stato improbabile: non avevamo l’autista a pochissimi giorni dal 21 novembre, avevamo la zona arancione in Umbria e nella nostra città, Gualdo Tadino, la situazione era preoccupante. Ricordo benissimo che ne parlavamo quel giorno e, a posteriori, quel numero di cui parlavamo era il peggiore di tutti i mesi che erano e sono passati: quel 21 novembre riportavamo 218 contagi in una città di poco meno di quindicimila abitanti, non sono affatto pochi. Dunque, la situazione era quello che era e non è che lasciava un granché di possibilità. Tuttavia, questo sogno era troppo bello, troppo reale, troppo sudato, troppo conquistato faticosamente, per non potersi realizzare. E grazie alla mia amica Barbara, che non ringrazierò mai abbastanza, ce l’ho fatta. Ho trovato un taxi che poteva portarci a Roma, e chi se ne frega del prezzo. I sogni un prezzo non ce l’hanno. E quel sogno doveva esserci, dovevamo esserci: io, con un vestito,e infati e infatti non si sa perché non è nevicato quel giorno, mia madre, l’autista del taxi di Perugia che è venuto a prenderci a Gualdo, autocertificazione per gli spostamenti alla mano e via, a Roma, in due ore, anche di meno. E noi che eravamo partiti quasi con un’ora di anticipo, perché pensi, e che cavolo, il traffico di Roma! Niente! Mai andata a Roma con un traffico così scarso, con le file che scorrevano con una facilità quasi inverosimile, della serie non tutti i mali vengono per nuocere. E abbiamo aspettato quasi un’ora in macchina, poi, finalmente, dentro, negli studi di Caos Film, un piccolo e grande spazio di normalità, in una situazione complicatissima. Un altro sprazzo di luce nel buio. Ed è stato di nuovo il mio libro. Non dimenticherò mai le emozioni di quel giorno, io là, seduta su una poltrona minuscola, il microfono in mano, l’emozione nel cuore. E poca gente vicino, ma tutta quella che serviva. Mia madre, gli addetti alla telecamera e l’intervistatore. È stato bellissimo. Uno di quei giorni bellissimi, che mi porterò per sempre nel cuore. E sarebbe stato incredibile in qualsiasi momento fosse avvenuto, ma in quel momento, se possibile, aveva ancora più valore e, in quelle risposte emozionate, c’era tutto. C’era l’anima felice, cera il cuore che metto sempre in ogni riga di ogni cosa che scrivo, c’era la passione, c’era la dedizione, c’era il percorso che mi ha portata lì, alla pubblicazione e a una delle prime interviste, sicuramente la prima che sarebbe andata in piattaforme enormi come Sky e poi Youtube, c’era anche tutta la fatica, tutto il sudore di quel viaggio. C’era tutto, c’ero io. In quelle risposte, dette con tutto il cuore, c’ero io. Sono stati i minuti più belli della mia vita. E sono state bellissime tutte, sia quella più lunga nel programma Se scrivendo, sia la simpatica, rapidissima intervista di Dieci libri, in cui le domande erano stile iene. È stato bellissimo semplicemente, e quel 21 novembre ha riempito e ha illuminato un inverno strano, un momento difficile per tutti, un momento complicato per tutti, un momento in cui ho pensato che davvero niente è impossibile se ci credi. Se ci credi, tutto diventa possibile. Io ci ho creduto e quell’intervista a Roma è stata possibile, ma, se solo ci avessi creduto anche poco di meno, be’, non ce l’avrei fatta. Invece, sì, ce l’ho fatta. Ci sono stata, mi hanno fatto le domande, le ho risposte. Ho compiuto il viaggio del ritorno con gli occhi commossi e il cuore colmo di emozione, non vedendo l’ora che arrivasse il momento che è giunto due mesi dopo: il momento della trasmissione su Sky e su Radio Galileo e, qualche tempo dopo, anche su Youtube. Ed è stato davvero bellissimo riascoltarmi. E mi tocca dire che sono andata anche piuttosto bene, quello che tocca dirlo tocca dirlo. E io, dopo tutto, tra i pregi che credo di avere, ho sempre detto di non avere la modestia. A che serve poi la modestia? A cosa serve sottovalutarsi? A quello ci pensano gli altri, perché dovresti farlo pure tu? Tu devi credere in te, devi avere anche un tantino di presunzione, anche di superbia, che Dante annoverava tra i sette vizi capitali, ma ho sempre pensato che la superbia fosse un pregio, non un peccato. Può anche darsi che questo discorso sia anche un mio modo di far apparire come un pregio un mio difetto, cosa non del tutto improbabile, però, io sono convinta che è così. Ma attenzione con superbia, non intendo egoismo, no. Essere presuntuosi o superbi per me non significa calpestare gli altri, no, svalutare gli altri o valutare gli altri malissimo, se paragonati a noi. No, no. Significa solo riconoscere i propri meriti, il proprio valore, le proprie capacità e, se una cosa l’hai fatta bene, sì, l’hai fatta bene punto e basta. E ammetterlo non è da egoisti, ammetterlo, anzi, è da corretti, anche nei confronti degli altri, per onestà intellettuale nei loro confronti, ma soprattutto per amore nei confronti di se stessi. L’autostima è una cosa importante. E la mia autostima è sempre stata altissima, sempre. E, tra gli errori che sicuramente anche io ho fatto, non c’è mai stato quello di sottovalutarmi, e menomale. Dunque, come vi dicevo, sono andata piuttosto bene nelle interviste e sono soddisfatta del risultato finale. E la cosa davvero bellissima non sono state solo le risposte azzeccate, ma l’emozione che traspirava dalla voce. Era una voce che parlava, anche abbastanza fluidamente, ma con quel pizzico di emozione che traspariva in ogni sillaba, e menomale. Perché le cose emozionate sono ancora più belle e perché non mi sarebbero piaciute queste interviste se non si fosse capito cosa c’è dentro: tutto, semplicemente, né più, né meno. La passione di una vita, la mia scrittura, il mio libro, i miei sogni, anche la fatica, le speranze, le conferme e le ripartenze. Dice che i titoli, è risaputo, devono riassumere (se vogliamo dire riassumere, diciamo riassumere, ma questo verbo non mi piace un granché) il contenuto del libro, dell’articolo, di qualsiasi cosa a cui si abbinano. E questo articolo si intitola proprio con queste tre parole: speranze, conferme e ripartenze. Ed è quello che è stato il 2021, in realtà fine 2020 inizio 2021. E già erano tutte lì, in quell’intervista, in quel giorno indimenticabile e nelle emozioni indimenticabili che un anno così strano eppure così bello mi ha regalato e mi ha dato ancora, facendolo anche attraverso il libro che ha dato un senso al tempo che scorre e persino all’anno più assurdo che il mondo ha vissuto. Ha reso davvero bello un anno che, altrimenti, avrebbe potuto essere assai brutto, anche se, e questo va detto, per me il 2020 non poteva raggiungere il livello del 2017. È vero, allora il mondo non ha dovuto affrontare niente, ma io sì, e ci sono state pochissime cose che hanno dato un senso a quell’anno e la principale era proprio il libro, “L’ultimo dono prima di morire”, che ho scritto nell’estate, in dieci giorni, del 2017. Il 2020 è stato quello che è stato, nessuno dice che è stato un anno fantastico, anzi, è stato anche brutto. Ma le cose purtroppo non possono andare sempre bene ed è quando le cose vanno male che capisci su chi e su cosa puoi contare. E io nel 2020 avevo un sacco di cose: l’ispirazione, che nel momento più duro non è mai mancata, il libro che proprio allora muoveva i suoi primi passi e dovermi occupare della pubblicazione, Dio mio, che giorni intensi e faticosi, mi ha aiutata moltissimo, le tre presentazioni e un’intervista in quelle condizioni erano anche molto più di quanto osavo immaginare. E poi, ancora una volta, Ermal. E nel 2017 Ermal per me non c’era ancora. Per fortuna ho incrociato i suoi passi nel 2018 e, se non l’avessi incontrato, non sarei quella che sono oggi e non potrei dirmi di nuovo felice, perché, se non ci fosse stato lui, io non sarei mai tornata a fidarmi degli altri e del mondo. Invece, lui mi ha detto guarda che il mondo è bellissimo e il mondo è davvero bellissimo, come la mia vita è davvero bellissima se c’è lui. E anche i momenti più duri, con le mie passioni possono diventare belli, possono avere senso e, quando l’anno finisce, mentre tutti, ma proprio tutti facevano bilanci supernegativi, io ero lì, a salutarlo. Non a dispiacermene, gli anni passano e quell’anno anche doveva finire, ma dovevo ringraziarlo, perché io gli devo molto e non dimenticherò mai che io, il mio primo libro, l’ho pubblicato nel 2020, non in un altro anno. E non quest’anno, anche se sarebbe stato più semplice fare tante cose, non sarebbe stato lo stesso. Quest’anno, poi, mica aveva tanto bisogno di essere risollevato, era già incredibile e speciale del suo, con l’aria di ripartenza che si respirava ovunque. Non aveva bisogno di risollevarsi agli occhi di nessuno, neppure dal mio punto di vista, l’altro, il 2020, invece, sì. E, anche se non ho potuto fare molte presentazioni come avevo sempre sognato, è andata bene così e sono felicissima che il mio primo libro è datato 2020. E il secondo? Eh, poi ci arriviamo, anche al secondo, un passo per volta. Dicevo appunto che il 2020 è finito e le feste di Natale, di capodanno, ecc. sono state assai diverse dal solito, come diversi sono stati i compleanni prima di mia nipote, poi il mio a febbraio: in tutte le occasioni eravamo in cinque, al mio compleanno, poi, in realtà, addirittura in quattro, ma non posso dire che sono state brutte feste, anzi. Forse, fuori dalla confusione e dai ritmi frenetici del solito, sono state anche bellissime, forse quelle che ricorderò con una certa emozione, che ci hanno fatto riscoprire la dimensione semplice di stare in famiglia, perché non serve molto per essere felici, basta essere insieme e stare bene. E i regali non sono mancati. E neppure il cibo. Anzi, io penso proprio che non abbiamo mai mangiato tanto come queste feste, più che in tutte quelle che ricordo, una cosa inverosimile, veramente. E, pensando a quelle feste, mi viene da dire che forse io qualcosa ho imparato. Il mondo non molto, la gente in genere non particolarmente, i Social ma per carità. Ma io, nella mia piccola dimensione personale, qualcosa penso di averlo imparato, di ricordare ancora quel buio, per dare più valore alla luce e non è affatto scontato dire che la felicità è nelle cose semplici, ma la felicità è davvero nelle cose semplici. E, mentre le feste mi riempivano il cuore di felicità e l’anno volgeva a termine, una notizia ha spezzato la routine: Ermal a Sanremo! E ogni giorno del nuovo anno, da gennaio, febbraio e poi marzo è stata un’attesa emozionata, continua, vissuta tra i commenti letti e il testo che non volevo assolutamente leggere prima di ascoltare la canzone. E gli articoli di inizio anno di Emozioni da lupi sono stati pervasi da quella tensione meravigliosa, da quell’ansia dell’attesa, quella più bella, di una cosa che non pensavamo di vivere ancora e che io, da lupa, vivo davvero per la prima volta. E mi ha fatto pensare che il buongiorno si vede dal mattino. Forse, mio padre non può dire lo stesso, perché a febbraio si è fratturato il tallone cadendo da una scala, scena abbastanza comica, in realtà, però, si è fatto anche piuttosto male ed è stato quasi un mese all’ospedale, non riuscendo a uscire per il giorno del mio compleanno. Ma mi ricordo che è uscito il 2 marzo, il giorno in cui, appunto, iniziava Sanremo, forse il Sanremo più atteso di sempre, anche se il più particolare. In questo Amadeus e Fiorello sono stati davvero straordinari: sono riusciti a fare cinque ore di spettacolo senza pubblico e lo hanno fatto in un modo incredibile. E che emozione, che emozione quei giorni! Veramente palpitanti, incredibili, da dimenticare il mondo intorno e da far esistere solo noi, Ermal e Sanremo. Le interviste, quante interviste, le attese, quante attese, le scalette, quante scalette, che confusione ed Ermal che canta sempre in orari improbabili. E poi finalmente “Un milione di cose da dirti”. Una canzone bellissima, una canzone dolcissima, una canzone d’amore, che ha accarezzato tutte le corde della nostra anima, facendo suonare tutte le emozioni del nostro cuore, mentre la pelle rabbrividiva all’altezza del suo falsetto, che veniva cullato dalla delicatezza della sua voce, delle sue parole, della sua musica, quasi solo piano e voce. Ed è stata una canzone che emoziona a ogni ascolto e che mi emoziona solo a pensarci, a nominare, a ricordare quel primo ascolto. E tutti gli ascolti successivi. E le classifiche. Le classifiche che davano Ermal primo fino alla quarta serata! E tocca anche dire che, sì, ci avevamo creduto. Io ci avevo creduto, con tutto il cuore, perché le cose a metà non si fanno e a forza di vedere primo, primo, primo ho pensato: vuoi vedere che Ermal vince Sanremo? E, ad alimentare ancora più emozione e tutte le lacrime di commozione che abbiamo versato quei giorni, la sua sublime interpretazione di “Caruso” nella serata delle cover, che ha vinto ancora una volta dopo quella del 2017 con “Amara terra mia”. E menomale che l’ha vinta. Perché la sua interpretazione era davvero qualcosa di incredibile, qualcosa che si può capire soltanto avendola ascoltata e vissuta, come si dovrebbe sempre fare con le sue canzoni. Le sue canzoni vanno ascoltate, vissute, respirate. E non basta mai. Perché le sue canzoni, come le sue cover, emozionano tanto la prima volta, come la milionesima. E finalmente lo abbiamo ascoltato non solo noi, ma anche altri, il giorno della finale, che ha cantato nella prima parte della scaletta, al quinto posto. E poi sappiamo tutti com’è andata. Quando l’abbiamo visto sul podio, ci abbiamo creduto ancora di più. E avevamo tipo il panico più assoluto nel corri, vota, muoviti, digita, con tutti i telefoni di casa. E, se era possibile, li avremmo anche inventati i telefoni. Cioè tipo non so a quanta gente ho scritto, guarda che volendo c’è Ermal da votare. Sono stati secondi davvero impressionanti, secondi velocissimi, cioè forse una ventina di minuti, ma non sono mai stati tanto corti come quelli. Della serie quando hai bisogno di tempo il tempo vola troppo velocemente. Il televoto si chiude troppo rapidamente. E le cose si svolgono in ritmi spasmodici, velocissimi, tutta l’emozione in pochi istanti, tutte le speranze in un momento, tutto quanto ridotto in un attimo ed Ermal è al terzo posto. Un grande risultato, che cosa vuoi dire al terzo posto di Sanremo? Ed Ermal ha partecipato a Sanremo un sacco di volte, ma nella categoria big tre volte e sono stati tre podi, un risultato immenso, un orgoglio incredibile, per una canzone davvero meravigliosa, che ha vinto il prestigiosissimo premio Giancarlo Bigazzi della miglior composizione musicale e anche il premio per il miglior videoclip e che è arrivata terza, e il terzo posto è un gran posto. Però, ho sempre detto che, scrivendo, non posso mentire, né celare qualcosa e quindi, in queste pagine, mentre ricordo un anno incredibile, davvero pieno di emozioni, di speranze, di conferme e di ripartenze, mi tocca scrivere che, sì, ci sono rimasta male. E che c’era anche un po’ di delusione, soprattutto per certi comportamenti in giro. La gente, poco corretta, nessuno accusa gli artisti per i fan che hanno, ci mancherebbe, pur di non far vincere Ermal ha confuso i codici della prima votazione. Ma noi non siamo come loro, per carità, noi siamo contenti di tutto e per tutti, i Maneskin sono anche stati bravi e hanno reso molto orgogliosa una nazione vincendo l’Eurovision, e che emozione anche quella sera, però, io come fan di Ermal speravo che Ermal vincesse e sinceramente, ancora a distanza di tutti questi mesi, un po’ male ci resto ancora e continuo a dire che, se non vinceva perché sarebbe stata presa comunque la decisione della vittoria della band romana in vista dell’Eurovision, il secondo posto per me era il suo. In realtà per me pure il primo, però, è andata così. Complimenti ai vincitori e a tutto il podio. E mi tocca dire anche questa: a me Fedez musicalmente non è mai piaciuto, quindi, quel suo secondo posto mi ci ha rotto un sacco, però, devo dire che umanamente l’ho rivalutato il primo maggio, con il suo discorso a sostegno dei diritti civili degli omosessuali, ha avuto il coraggio di dire apertamente le cose, anche di fare nomi, cognomi e Partiti, perché serve anche quello, avere il coraggio di dire le cose come stanno, esporsi politicamente. E non è assolutamente vero che gli artisti non devono intromettersi nella politica. La politica è vita. E anche l’arte è vita. L’arte non parla di cose astratte e astruse, ma parla anche e soprattutto del proprio tempo. E non puoi parlare dei tuoi tempi, senza parlare di politica e senza manifestare la tua idea politica. Un artista racconta la realtà, e, in questo racconto, c’è anche la politica, per forza. E poi, che diamine, l’artista un’idea politica sua ce l’ha. E pensate forse che una cosa tanto profonda, una convinzione tanto sentita, se quell’artista ce l’ha, non va a confluire nelle sue opere o in quello che dice e che fa? Secondo me, sì. E non lo dico solo da spettatrice, ma anche da scrittrice. Io nelle mie opere la mia posizione politica ce la metto e ci scommetto che l’avete capita pure voi, anche se io non la dicessi esplicitamente e la facessi capire solo tra le righe. Però io la scrivo anche esplicitamente, non mi vergogno mica: sono di Sinistra e un’antisalviniana di quelle convinte. Se vi sentite offesi da questa affermazione, sappiate che non era mia intenzione offendervi e lasciatevi dire che io non vi comprendo. Io dalle posizioni politiche diverse dalla mia non mi sento offesa, anzi, tanto meglio che ci sono, così possiamo confrontarci, non ci annoiamo e ogni tanto fa bene anche discutere di politica, cioè non è che faccia bene litigare, ma, quando si parla di quell’argomento, è quasi inevitabile che succeda. E, purché la cosa non degeneri, ben venga, quindi, se volete, ci incontriamo, virtualmente o comunque sia, e ne parliamo. Io rimarrò della mia idea, voi della vostra, ma almeno intanto potremmo dire di aver vissuto insieme la democrazia che i nostri predecessori si sono impegnati tanto a costruire e che noi abbiamo il dovere di difendere con la nostra vita quotidiana. E, a proposito ancora di musica, la meravigliosa musica di Ermal, che è stata ancora una volta una grandissima conferma e un punto di riferimento nella mia vita, finalmente è uscito il nuovo album, “Tribù urbana”. E per parlare di “Tribù urbana” non basterebbe l’articolo che ci ho scritto, tutte le cose che ho scritto, detto, pensato e neppure gli aggettivi che cercherò di scrivere in queste righe. Cos’è stato “Tribù urbana”? Diciamola così: a me non piace fare classifiche e figurati se riesco a fare classifiche sulla musica di Ermal, però, penso che, per il mio sentire, per il mio vivere, per il mio respirare dentro a ognuna di quelle canzoni, una più bella dell’altra, senza sapere quale sia poi la prima e l’ultima di una classifica inesistente, sono tutte incredibili, non riesco a scegliere, è stato l’album più bello che abbia mai fatto, forse il più completo in assoluto. È un album corale, un album di luce, un album che Ermal ha scritto immaginandosi in platea e si sente, cavolo, si sente proprio che questo è un album che dal vivo deve essere qualcosa di davvero impressionante. E finalmente, dopo tutto, c’è stato qualcuno che l’ha vissuto, questa estate. E tra poco, tra poco, toccherà anche a noi. Sì, perché, dopo tante esitazioni, tanti momenti di dubbio, tante cose che non si capivano abbiamo saputo da pochissimo che il tour nei palazzetti non è possibile, e in realtà lo avevo anche intuito, ed è stato trasferito nei teatri, dove la capienza è al 100%, e, anche se probabilmente non potrò confermare Bologna, ho confermato già Firenze e Roma e so già che il 18 marzo e il 27 marzo 2022 saranno due giorni indimenticabili e, non è un modo di dire, indescrivibili. E, dopo “Tribù urbana”, c’è un’altra immagine che rappresenta questo anno, lo rappresenta talmente bene che è l’immagine di questo articolo. Io non so più neppure quante volte sono entrata su quel sito, penso che, se i siti potessero parlare, il sito di prenotazione dei vaccini dell’Umbria, appena mi vede, direbbe: “A riecco questa!” A parte gli scherzi, i sistemi semplici, no. Cioè non è mai stato così complicato prenotarsi per un vaccino, mai così tanto, proprio quando doveva essere più semplice e accessibile. Ma la tigna, come si dice a Gualdo, ossia la testardaggine io ce l’ho e sono assai più ostinata di tutti i siti e delle loro disfunzioni o delle loro vie astruse e intrecciate. E sono riuscita a prenotare tutti i membri della mia famiglia: prima io, poi i miei, mia sorella e mia nipote, tutti, nel giro di pochi mesi, ce lo siamo fatto. Ed è stato il primo passo che ha reso possibile tutto di nuovo: le partite di calcio con il pubblico, i concerti vicinissimi, le fiere del libro in presenza e la normalità che abbiamo ricominciato a conoscere, alla quale abbiamo ricominciato a riabituarci e alla quale, lentamente, piano piano, un passo per volta, ci riabitueremo ancora. E io continuo a non capire chi non se lo vuole fare, come è possibile che abbia a disposizione il solo mezzo per tornare alla normalità e non lo voglia, permettendosi di giudicare il lavoro degli altri e non avendo la più pallida idea di come funzionano le cose, non preoccupandosi, mai, neppure una volta, degli effetti collaterali di tutte le medicine che prendono. E giustamente, quando stai male, prendi la medicina punto e basta. E lo stesso ragionamento dovrebbe essere per il vaccino, che serve per prevenire e per evitare una malattia di cui sinceramente io ne ho abbastanza, anche solo a distanza, anche solo per quanto ne ho sentito parlare e per tutti i danni che evidentemente ha fatto, sulla vita di troppe persone. Io proprio non ci tengo a conoscerla più da vicino. E non ci tengo neppure che la conoscano gli altri. Quindi per me, ma anche per tutta la gente, per la società e perché questa nazione possa ricominciare davvero, io il vaccino me l’ho fatto. Sorvoliamo sul fatto che dovevo essere la prima della mia famiglia e, alla fine di tutto, prima di me se l’è fatto mia sorella tutte e due le dosi, anche precedentemente alla mia prima. Però, è arrivato anche il mio turno. La prima dose il 4 maggio e la seconda il 15 giugno, sì, perché praticamente sono stata la sola che ha risentito dello spostamento della seconda dose da ventuno giorni a quarantadue. Ma, anche se un po’ dopo, ce l’ho fatta. E chi se ne frega del dolore al braccio e dei dolori muscolari, ma proprio è stato un piacere. E se tornassi indietro lo rifarei mille volte e, nel caso in cui sarà consigliata e necessaria la terza dose, io sarò in prima fila di nuovo. Se permettete, anzitutto, per me, perché decidere di farsi il vaccino è anche un atto egoista, cioè preservo me, ma è anche un atto altruista, perché, preservando te, aiuti anche tutti quelli che ti stanno vicino, tutta la società a uscire dalla situazione e soprattutto, e non mi dite che è una cosa secondaria, quelli che il vaccino non se lo possono fare, anche se vorrebbero tanto, per fortuna, non sono molti, ma ci sono. E si dovrebbe pensare anche a loro, facendolo. E so che c’era tutto, tutti i pensieri concentrati e un attimo solo di emozione intensa, che, come tutti i momenti di emozione, è difficile da descrivere, quando ero lì, seduta su quella sedia e l’infermiera mi ha fatto la puntura. Ricordo bene come si sono svolte le cose. “Hai paura?” Mi hanno chiesto e io sicurissima: “No”. Anzi, come ha specificato mia madre, non vedevo l’ora. E sono stati momenti davvero rappresentativi di un anno, per uscire là fuori, dire a tutti io l’ho fatto, è stato bellissimo ed è bellissimo tornare alla normalità, fatelo anche voi, così alla normalità ci torniamo tutti, presto, definitivamente, senza neppure bisogno di regole o di riabituarcisi. È stata un’estate quasi normale, molto più normale di quella dell’anno scorso, l’estate della ripartenza, l’estate dopo i vaccini di tutti i membri della mia famiglia, un’estate indimenticabile non solo dal punto di vista personale, ma, diciamo, nazionale. Abbiamo cominciato con la vittoria all’Eurovision e non ci siamo fermati più. Abbiamo vinto tutto quello che si poteva vincere dalla musica, alla pasticceria, allo sport. E le notti magiche degli Europei ce le porteremo nel cuore, per sempre, una vittoria dietro l’altra, la nazionale di calcio guidata da Roberto Mancini ci ha fatto sognare. E ci ha fatto sognare, anzitutto, per come ha giocato, una nazionale che ha ricordato a tutti la nazionale del 2006, una nazionale che ha fatto restare con il fiato sospeso, milioni di persone incollate alla T.V, un’intera nazione davanti alle imprese leggendarie di una squadra straordinaria, che ha vinto proprio perché ha giocato, ha agito e ha pensato come squadra. E sono state serate che ci anno ricordato di quanto lo sport può unire, di quanto è vero che si ferma una nazione quando gioca la nazionale, di quanto questa nazione ha sofferto e può rialzare la testa anche così, con i cuori che si riempiono di orgoglio nazionale e con le bandiere che si alzano in aria, mentre tutte le macchine sfilano per le strade. E le città si riempiono di grida, di vittoria, di felicità, di emozione, di suoni inconfondibili, che sogniamo da tanto tempo. Dal 2006, quando abbiamo vinto i Mondiali. Ma anche da prima. Una vittoria che agli Europei mancava dal 1968, cinquantatré anni di attesa, e ne è valsa la pena. Ed è stato un Europeo trionfale: gironi a punteggio pieno, ottavi, quarti, semifinale e una finale al cardiopalma. E tutta l’emozione, le speranze, l’ansia, il panico di un intero Paese nelle mani del portierone Gigio Donnarumma, che è stato proclamato migliore giocatore degli Europei e che soprattutto è diventato il mito di tutta la nazione, e che diamine, per forza! Quella coppa l’abbiamo vinta grazie alla squadra, che ha trionfato in tutte le occasioni, ma è chiaro che l’abbiamo vinta soprattutto grazie a lui, con le parate straordinarie, che entreranno nella storia del calcio italiano. E un’intera nazione ha rialzato la testa. Non è solo sport, è vita. è unità, è dire noi ci siamo, siamo inciampati, siamo caduti, ma ci siamo rialzati. E anche noi l’abbiamo fatta la sfilata, urlando, suonando le maracas e i claxon per le vie della città, con il tricolore che sventolava fuori dal finestrino, mentre abbiamo seguito per tutto il tempo un trattore che apriva la fila. E le emozioni non si sono fermate qui. Ma sono continuate a Tokyo e non solo. E che emozione tutte le medaglie che abbiamo vinto alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi, seguite con il fiato sospeso e che ci ha visti protagonisti in tantissime gare, vincendo moltissimo e battendo tutti i record che c’erano da battere. E ce lo meritavamo, ce lo siamo meritato dopo un anno tanto complicato, ci siamo meritati di poter gioire come nazione e poter far vedere al mondo che noi ci siamo, eccome se ci siamo. E accidenti al resto del mondo abbiamo dato parecchio fastidio, soprattutto a qualcuno, per le vittorie! È normale, perdere non è bello, per niente, ma mica può sempre toccare alle stesse persone, ogni tanto siamo stati noi che abbiamo perso, quest’anno invece abbiamo vinto e ogni tanto è bello il sapore, l’odore, il rumore e il colore della vittoria. Colore tricolore, colore oro, argento, bronzo della coppa, delle medaglie, delle emozioni. E ricordatevi che ora l’uomo più veloce del mondo è italiano. Anche questa ci toccava vedere! Una specie di sogno senza fine, ma un sogno a occhi aperti, che non avremmo mai detto di vivere, solo fino a poco tempo fa, ma che abbiamo davvero vissuto. Sono state tante le medaglie da ricordare, ma la giornata più emozionante per lo sport italiano è stata il 1 agosto: prima la straordinaria medaglia d’oro di Gianmarco Tamberi condivisa per loro unanime scelta con il suo amico e rivale degli Emirati Arabi Uniti, Mutaz Essa Barshim, dando una lezione importante non solo di sport, ma di sportività e di vita, perché, l’hanno detto, nessuno dei due poteva togliere all’altro la gioia più grande, soprattutto dopo che entrambi hanno vissuto un difficilissimo infortunio; e poi l’incredibile, prima la semifinale, il record europeo e poi… Poi, e tremo ancora nel dirlo, nella gara regina dell’atletica, nei 100 metri, che abbiamo visto sempre da lontano perché non ci riguardava mai, quest’anno, però, siamo arrivati primi, Marcell Jacobs ha vinto, ha vinto con il tempo incredibile di 9,80 secondi ed è come se avesse vinto un’intera nazione. E poi tutte le medaglie di tutti gli sport, alcune attese, altre inaspettate, chiudendo con il record di sempre: quaranta medaglie. E vogliamo parlare poi delle sessantanove medaglie delle Paralimpiadi, tantissime nel nuoto e in altri sport, ancora Bebe Vio nella scherma, e ancora nei 100 metri, nella categoria T63 (con protesi a un arto), abbiamo colorato il podio tutto d’azzurro: tre medaglie, mica una. Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Graziana Contrafatto ci hanno fatto sognare, in un altro giorno che passerà alla storia. Era il 4 settembre. E tutte queste vittorie hanno contribuito a fare un anno e un’estate indimenticabili per una nazione, per ognuno di loro, anche per me. E per me l’estate è stata resa ancora più speciale da alcune inaspettate presentazioni del mio libro che ho potuto fare nell’ambito del premio regionale FulgineaMente, prima a Perugia, nel magico posto dei giardini della Biblioteca di San Matteo degli Armeni, e poi a Deruta, nell’ambito del Deruta Book Fest. E sono state due presentazioni davvero speciali, condivise con altri autori bravissimi, con le domande poste dagli organizzatori, che hanno letto e apprezzato il mio libro. E non importa il premio, se si arriva in finale oppure no, l’importante è di aver partecipato e aver avuto la bellissima possibilità di incontrarsi e farsi conoscere, che oggi, dopo tutto ciò che è stato, hanno davvero ancora più importanza e quindi maggiore bellezza di quanto ne avessero già prima. E ne avrebbero avuta comunque moltissima, così è proprio inquantificabile. A testimonianza che le cose più belle non si possono misurare. Le cose più belle si possono solo respirare… Le cose più belle si possono vivere. E ancora una volta, come ho detto all’inizio e come ripeto qui, soltanto i sogni possono rendere possibile l’impossibile e ci fanno scoprire che, quando sono condivisi, sono anche più belli di quando li progettavamo solo nel segreto del nostro cuore. E, mentre realizzavo e condividevo i miei sogni con gli altri, è stato bellissimo condividere i sogni degli altri, il sogno di un mio caro amico, Sebastien, che dopo un anno di attesa, è riuscito finalmente a fare la presentazione del suo libro, “Un angelo in miniera”, e per me è stato un onore poter leggere la riflessione che avevo scritto sul suo libro ed essere al suo fianco quella sera. E, poi, attraverso tutte le emozioni, i sogni miei e altrui, la normalità che ritorna, le vittorie dell’Italia, i primi veri concerti di Ermal, si arriva a oggi. E nel mio passato recente, come nel mio futuro immediato ci sono due cose. La prima è la più importante di tutte. E l’ho condivisa ancora con poche persone, con gli amici più stretti, però, queste sono le pagine del bilancio e del racconto di un anno e, in quest’anno così speciale, non posso dimenticare una cosa importantissima, non posso non condividere con voi, con tutti voi, la prospettiva incredibile di un sogno che ancora è solo nella mia testa, che sto costruendo io, piano piano, un giorno per volta, una fatica dopo l’altra, e ho detto che deve assomigliare a un parto nella fatica, nella lunghezza della preparazione, nella bellezza di qualcosa che nasce e nel fatto che, poi, quando il sogno viene alla luce, dimentichi un po’ la faticaccia che hai fatto e resta solo la felicità. Be’, la pubblicazione di un libro è un po’ un parto. Sì, l’ho detto, ho detto pubblicazione. Anzi, l’ho scritto. E questo per me ha ancora più valore. Se c’è una cosa a cui dare valore, io lo faccio scrivendola. E io sono troppo emozionata nello scrivere, ora, qui, proprio nel giorno del compleanno di questa rubrica che è cresciuta con me, ma è restata uguale nelle intenzioni, negli intenti, in quanto ci credo nella passione di sempre, facendo conoscere culture nuove soprattutto araba che possono darci tanto, che quest’anno no, ma il prossimo anno, il 2022, già speciale prima di cominciare, lo sarà anche per un altro motivo. Tornerò sotto il palco di Ermal e… Pubblicherò il mio secondo libro. Ed è una cosa certissima, come il fatto che questi giorni sto facendo una faticaccia pazzesca, al limite delle forze. Ed è proprio vero e sicuro, proprio in virtù di quello che sto facendo in queste settimane, di quello che abbiamo fatto in questi mesi e ringrazio sin da ora mia nipote Sheila e mia madre, perché, senza di loro, non credo che ce l’avrei fatta, perché mi hanno dato una mano nella prima revisione e ora che sto facendo la seconda posso solo sentire l’emozione salire, e l’emozione è assai più forte della fatica. E sentire il cuore riempirsi di gratitudine, di attesa, perché i sogni, ancora una volta, renderanno qualcosa possibile e trasformeranno la mia fatica e il lavoro che sto facendo io nel segreto del mio computer in qualcosa di tangibile, di nuovo in un libro di carta e in e-book, che potrò tenere in mano e scaricare e dire a tutti, ancora una volta, che questo è il mio secondo libro e che porterà sicuramente la data del 2022, appena due anni dopo dal mio primo sogno, ora arrivo con questo nuovo sogno e sarà bellissimo condividerlo con voi. E sarà più facile fare le presentazioni. E spero anche di partecipare di nuovo al premio FulgineaMente, perché mi sono trovata benissimo e che mi importa se neppure la prossima volta arriverò in finale, l’importante è sognare, realizzare i sogni e condividerli. E la seconda cosa riguarda il corso on line che sto facendo e al quale mi sto decisamente affezionando, come alla casa editrice che lo svolge. Si svolge interamente su Zoom e viene tenuto dalla Giulio Perrone Editore, da ottobre a gennaio, e parla del mondo editoriale, in tutte le sue sfaccettature e, visto che poi è il mio mondo, mi interessava capire tante cose e ne sto comprendendo sempre di più. E sono tornata a prendere appunti e a fare compiti, ma ne vale la pena. Davvero interessante e illuminante sotto molti aspetti e mi sta avvicinando a tante cose che conoscevo o non conoscevo molto, aiutandomi già a comprendere ciò che volevo capire e non vedendo l’ora che arrivi sabato prossimo in cui si parlerà dell’argomento che mi interessa di più, ossia l’editing e sarà un editor a farci lezione. E ora, qui, in questa rubrica che è stata passato, con sei anni di libri recensiti e cinquantanove articoli compreso questo, voglio parlare proprio di lei, del suo presente e del suo futuro. Da qualche mese non viene più pubblicata nel luogo originale di OneElpis che purtroppo si è dovuto sospendere a causa degli impegni del suo creatore e gestore, ma viene pubblicata, insieme a Emozioni da lupi, nel mio nuovissimo blog personale, che ho chiamato Oltre, perché è ciò che entrambe fanno, vanno oltre, oltre l’apparenza, oltre i pregiudizi, oltre ciò che si vede da lontano e vanno in fondo alle cose, conoscere le culture diverse, scoprire che hanno molto da insegnarci, raccontare le emozioni di un libro, di un film, della musica di Ermal e farlo sempre con la stessa passione, lo stesso amore e la stessa dedizione dell’inizio, per sapere che, se tutto cambia e tutto scorre, io e le mie rubriche siamo e resteremo ancora qui, pronte a viaggiare con chiunque voglia farlo insieme a noi.
© Arianna Frappini,
Intellettuale orientalista con particolare interesse per la cultura araba
Riproduzione riservata
Fonti:
Social
Citato “L’ultimo dono prima di morire” di Arianna Frappini
Detto popolare
Citato Dante
Citati articoli di Emozioni da lupi dell’autrice
“Un milione di cose da dirti” di Ermal Meta
“Caruso” di Lucio Dalla cantata da Ermal Meta
“Amara terra mia” di Domenico Modugno cantata da Ermal Meta
Serate di Sanremo trasmesse su Rai 1 dal 2 al 6 marzo 2021
Concertone del primo maggio 2021
“Tribù urbana” album di Ermal Meta
Finale dell’Eurovision Song Contest del 22 maggio 2021 trasmessa su Rai 1
Euro 2020 trasmessi dall’11 giugno al’11 luglio 2021 su Rai 1
Wikipedia
Olimpiadi Tokyo 2020 trasmesse su Rai 2 dal 23 luglio all’8 agosto 2021
Paralimpiadi Tokyo 2020 trasmesse su Rai 2 e Rai sport 1 dal 24 agosto al 5 settembre 2021
Citato “Un angelo in miniera” di Sebastien Mattioli
Zoom
Foto scattata dalla madre dell’autrice durante la prima dose del vaccino il 4 maggio 2021